Si può interrompere la paura di morire?
Assolutamente si. Come tutte le fobie, anche queste sono
processi appresi, e per loro natura modificabili. Vari sistemi di terapia sono
usati per trattare pazienti che dimostrano tali condizioni.
Per pazienti intendo chiunque manifesti tale risposta
fobica. Spesso le persone non accettano la loro situazione, minimizzando la
loro limitazione. A volte lo stesso volersi evitare di farsi chiamare pazienti
impedisce a molti di fare il passo necessario ad intraprendere la via della
cura.
Questo che ho appena descritto è un altro tipo di processo
fobico molto comune, che deve essere compreso in sessione di intervista. Ci sono poi tante
altre situazioni in cui gli esperti consigliano una terapia rispetto ad
un’altra. L'ipnosi regressiva è un caso di tecnica di cura.
Quello che oggi è chiaro è che esistono due modelli di
“cura” per tale problema: farmacologico e terapeutico. Non si vuole essere
riduttivi rispetto ad altre vie, io scrivo solo in termini di risoluzioni
finali.
Da una parte si può scegliere la strada dei farmaci che
possono servire a limitare alcune risposte intense. Il loro effetto a livello
di guarigione è praticamente nullo. E come abbiamo appreso dalla storia, i casi
di dipendenza che si instaurano dall’uso e abuso di farmaci sono noti tanto da
essere entrati nel folklore cittadino: il tossico, la morfina, le colle, e via
dicendo.
Dal punto di vista terapeutico invece si possono prendere molte
strade. Nei film di tanto tempo fa si dava risalto alle pratiche psichiatriche
classiche come il trattamento freudiano della psicanalisi. Oggi i dati
dimostrano che, oltre ad essere il tipo di trattamento più costoso, i risultati
ottenuti sono in media molto bassi. Prende piede invece la ipnoterapia e la psicoterapia con alti tassi di successo.
La paura della morte è una figura iconica nel nostro mondo
umano. Scrittori e autori la cantano nelle loro poesie, leggende e canzoni. Una
delle essenze ataviche dell’uomo, e che lo accompagnerà ancora fino al prossimo
stacco evolutivo significativo.
Perchè abbiamo paura della morte?
Ogni essere umano conosce questa sensazione. La proviamo
ogni volta che qualcosa minaccia la nostra sicurezza. Sia che si tratti di una
minaccia che mira a limitare la nostra libertà, oppure la nostra salvezza e
benessere fisico, questo meccanismo si attiva.
La mente umana è un meraviglioso meccanismo che risponde
agli stimoli interni ed esterni. Elaborando molto più di quello che riusciamo
consapevolmente a percepire, il nostro cervello sintetizza un messaggio. Questo
tipo di messaggio ci diventa tutt’un tratto chiaro. Noi le chiamiamo
sensazioni, emozioni, intuizioni.
La paura è una risposta che innesca il nostro “cervello
rettiliano.” Il cervello è infatti diviso in varie aree. Ogni area ha una sua
funzione ed impatto sul nostro sistema decisionale. Il cervello rettiliano è
l’area cerebrale dedicata ad una serie di elaborazioni fondamentali alla
sopravvivenza di noi tutti.
Viene chiamato così dagli scienziati e psichiatri
per indicare la nostra natura selvaggia, che dopo millenni di evoluzione basa
ancora ogni singola decisione dopo una serie di operazioni di sicurezza.
Il cervello rettiliano ha la funzione di fare solo due
distinzioni opposte. Decide cosa è sicuro e cosa è pericoloso. Dai suoi calcoli
derivano le nostre sensazioni di paura o pericolo. Quando “qualcosa non va” o
sembra sospetto, quella sensazione è la nostra parte primitiva che ha dato il
suo verdetto. A seconda degli input sensoriali che il nostro corpo percepisce,
il messaggio che ci arriva può essere forte e chiaro, come la classica
pietrificazione di fronte ad un pericolo imminente (un processo animale che
ritroviamo in tantissime specie, come quelle meno sfortunate che vengono
schiacciate sui bordi delle strade quando vengono abbagliate dalle auto in
corsa).
Al contrario, ogni volta che continuiamo nelle nostre azioni
senza avvertire alcun pericolo, ecco che la nostra parte retti liana ci ha dato
il suo benestare. Questa nostra capacità di essere allerti ogni istante è una
delle capacità umane più sorprendenti, in quanto funziona anche nel sonno.
Molti studiosi credono che il russare sia un esempio del nostro meccanismo di
sopravvivenza, il quale si è adattato alla vita di ventura in tempi remoti, e
che ha stimolato la creazione di un meccanismo di difesa che tenesse lontane le
altre creature che avessero voluto avvicinarsi.
Aver paura di morire è quindi una sensazione umana
comprensibile che si innesca in automatico. Il problema di questo nostro
meccanismo è un altro.
Il nostro mondo moderno è pieno di stress, e in questi tempi
di crisi, la soppressione della nostra libertà ci fa sentire oppressi e limitati.
Con questo voglio dire che il nostro cervello non differenzia troppo tra
stimoli interni ed esterni, quando si tratta di sopravvivenza.
Sicuramente bisogna rendersi conto che viviamo in un mondo
in cui la sicurezza personale è un bene che viene custodito dalla nostra
società. Eppure, ogni giorno siamo esposti alle notizie dei telegiornali e alle
cronache nere, o peggio. Ancora sulle civette fuori dai giornalai fanno notizia
i casi di stupro, rapina a mano armata, violenza inconsulta (come la violenza
da stadio che dilania la nostra nazione), e tanto altro ancora.
La
nostra mente recepisce anche questa serie di
informazioni cognitive. Specialmente quando le altre parti del cervello
elaborano sui vari argomenti negativi, attaccando strati di valore
emotivo alle informazioni associate. Ci sono altre aree cerebrali e
queste compongono le altre due grandi zone che sempre di più sono
oggetto di studio delle attuali neuroscienze. Mi sto riferendo al sistema
limbico e alla neocorteccia cerebrale.
Sistema limbico e neocorteccia: gli altri nostri due datori di lavoro
Se il cervello rettiliano vede solo in bianco e nero, le
altre due aree vedono rispettivamente una a colori, e l’altra a gradazioni e
sfumature. Il sistema limbico processa le emozioni che si generano e che a loro
volta sono frutto di stimoli complessi nella loro natura. La neocorteccia si
concentra su una visione olistica e generale dell’insieme di informazioni
osservate di volta in volta.
Nel sistema limbico si annidano le risposte fobiche. Ovvero
le paure. C’è infatti una grossa differenza tra una paura di morire provata nel
presente, ed una innescata dalla mente stessa. Una fobia è mentale quando è
innescata senza la presenza esterna della concausa reale. Ovvero quando la
mente proietta nella nostra coscienza una serie di sensazioni ricostruite che
fanno partire il processo stesso della paura. E tutte le paure sono simili nel
loro processo. Differiscono solo in intensità e qualità dei segnali. Alcune
sono più radicate di altre, e qui gli studiosi adottano varie teorie
esplicative.
Per molti si tratta di meccanismi riprodotti a strati.
Stratificazioni emotive generano meta-stati di informazioni che vengono
codificati a sostegno della realtà. Il processo in questione è simile al
processo che si instaura quando una menzogna è detta e ripetuta nel tempo senza
essere mai rivelata falsa. Dopo un po’ di tempo, la menzogna diventa realtà di
fatto. Ma la nostra mente funziona ancora in modi complessi che vengono
studiati oggi giorno.
La paura di morire è quindi un processo che si innesca. Può
partire in automatico dopo uno stimolo interno o esterno. Può essere conseguente
a un continuum emotivo o razionale (chiamato loop,) e ci possono essere ancora
altre spiegazioni, come traumi e credenze errate.
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